martedì 26 gennaio 2010

Il Castello dei Pirenei - Jostein Gaarder

Il Castello dei Pirenei è un romanzo di Jostein Gaarder, uno dei più noti scrittori norvegesi, con una formazione filosofica e teologica, che deve la sua sua fama e fortuna in patria e non al best seller da 25 milioni di copie tradotto in 50 lingue 'Il Mondo di Sofia', un romanzo sulla storia della filosofia. L'intera bibliografia di Gaarder, che è stato un insegnante di filosofia per dieci anni, è costituita da romanzi filosofici, cioè da opere che hanno la struttura e la forma del romanzo ma il cui contenuto è filosofico, atto allo scopo di divulgare e trasmettere concetti di filosofia. L'idea del romanzo filosofico non è certo originale nel panorama letterario: pensiamo al Candido di Voltaire, La Nausea di Sartre, Lo Straniero di Camus e Alla Ricerca del Tempo Perduto di Proust. Nel caso de Il Castello dei Pirenei, Gaarder intende far riflettere il lettore sui grandi quesiti dell'esistenza su cui l'uomo si interroga da che esiste (Qual è il senso della vita dell'uomo sulla terra? Cos'è la morte? Dio esiste? etc.) In particolare il romanzo porta il lettore a riflettere su quale visione dell'esistenza abbracciare: se quella atea, materialista e razionalista del professore di fisica e climatologo Steinn o quella più religiosa, mistica, che crede nell'occulto e in una qualche forma di rivelazione dell'umanista Solrun. Steinn e Solrun, due cinquantenni che trent'anni prima ebbero una relazione, ora sposati con due figli ciascuno, per caso, per fortuna, per coincidenza o perchè piuttosto esiste una sorta di regìa sottesa agli eventi umani, si ritrovano nella medesima località dove vissero una particolare esperienza legata ad una 'donna dei mirtili rossi' e che segnò la fine del loro rapporto, in un modo misterioso che va svelandosi alla fine del romanzo. In realtà la questione principale non è la contrapposizione tra scienza (Steinn) e mistero (Solrun) ma tra scienza e mistero rivelato. E' nelle rivelazioni, spiega Gaarder in un'intervista, che egli non crede e non ha fiducia. Le due visioni filosofiche contrapposte sono affidate ad uno scambio di e-mail fra Steinn e Solrun, successivo al loro ultimo fortuito incontro e reso da un punto di vista grafico con due caratteri diversi. L'idea delle e-mail è sicuramente originale e al passo con i tempi ma nella prima metà del libro appare davvero poco credibile e un po' troppo forzata: due ex fidanzati che avrebbero più di trent'anni di vita ciascuno da raccontare all'altro passerebbero ore ed ore isolandosi ed estraniandosi dalla loro quotidianità per discutere la loro visione dell'universo o dissertare sul concetto di coscienza? Probabilmente no ma non si può per questa ragione dire che questo esperimento di romanzo filosofico di Gaarder non sia affatto riuscito. La seconda metà del libro, in cui Solrun riporta alla memoria di Steinn la vicenda della donna dei mirtilli rossi e svela il mistero ad essa sotteso è infatti più un romanzo, peraltro tinto di giallo, e appare più riuscita e credibile della prima parte, che è invece quella più interessante da un punto di vista filosofico. I concetti espressi nelle e-mail scambiate tra Steinn e Solrun sono quelli che chiunque abbia minimamente masticato un po' di filosofia, a scuola o da autodidatta, ha già sicuramente incontrato, sia a livello di quesiti, sia a livello di risposte ai medesimi. Personalmente, avendo studiato filosofia al liceo e qualcosa anche all'università, e avendo recentemente letto alcuni dei saggi di Piergiorgio Odifreddi (Il Matematico Impertinente e Le Menzogne di Ulisse sono la mia personalissima bibbia), mi trovo a mio malincuore ad affermare che questo romanzo non mi ha fornito nuovi elementi su cui riflettere ma ha certamente rafforzato certe mie convinzioni sulla condizione umana. Tuttavia, voglio qui riportare una delle riflessioni di Steinn che mi è particolarmente piaciuta, relativa alla coscienza dell'universo. Cioè, se un uomo, come Steinn, ad esempio, esperto di fisica e delle leggi della natura, riflette sull'universo, studia la sua origine ed evoluzione, ed è dunque consapevole della propria esistenza e dell'esistenza dell'universo, è lecito affermare che l'universo stesso ha coscienza di sè. Ma, se l'universo è cosciente, può cessare di esserlo quando l'uomo muore? O esistono altre forme di coscienza dell'universo? O forse l'anima dell'uomo sopravvive al disfacimento del corpo e la coscienza non cessa? Dove la ragione ed i suoi strumenti (matematica, fisica, chimica) non arrivano a fornire spiegazioni, cioè sui due grandi misteri relativi all'eventuale esistenza di una radice o fondamento che chiamiamo Dio e che potrebbe aver 'voluto' creare l'universo, e sulla questione della natura della coscienza, lì solo l'intuizione dell'uomo può arrivare. E solo grazie ad una fuggevole, improvvisa intuizione, Steinn 'sente' di essere stato vittima del più grande inganno del mondo, 'cioè che "io" dovessi essere qualcosa di totalmente scisso da tutto il resto'. ' Si fa strada dentro di me l'idea che sono molto di più di quel miserevole ego per il quale mi sono così tanto preocccupato in passato. Non sono soltanto me stesso. Sono anche tutto l'altopiano intorno a me, tutto il territorio, tutto quello che esiste, dal più piccolo pidocchio fino alle galassie in cielo. Tutto è me perchè io sono tutto questo.'
L'impressione che ho avuto è che l'autore si identifichi in Steinn e che Solrun abbia per lo più il ruolo di chi sollecita certe riflessioni in Steinn, costringendolo a 'tirar fuori' certe verità di cui egli non ha piena consapevolezza. In questo senso trovo Solrun molto socratica, come se utilizzasse il metodo della maieutica. La maieutica (letteralmente, 'arte della levatrice') è appunto il metodo utilizzato da Socrate per aiutare i propri discepoli a 'partorire' la loro verità. Socrate infatti non si pone in una posizione di superiorità rispetto al discepolo nè dunque impone agli altri la verità attraverso l'abilità retorica, come ad esempio facevano i Sofisti, ma, attraverso domande e risposte, porta il discepolo a riconoscere l'infondatezza o la contraddittorietà delle sue affermazioni e convinzioni. In questo modo il discepolo socratico arriva all'umile unica certezza del 'sapere di non sapere' e da lì viene condotto per mano nel processo di dare alla luce le sue verità. Su un altro piano, non solo Steinn è il discepolo e Solrun colei che lo aiuta a guardarsi dentro, ma Gaarder stesso, pur identificandosi ideologicamente con Steinn, ha nei confronti del lettore lo stesso ruolo di Solrun.
Pur non essendo entusiasta di questo romanzo, riconosco a Il Castello dei Pirenei il merito di riuscire a portare all'attenzione del grande pubblico in una forma più godibile rispetto al saggio certe riflessioni che non tutti hanno avuto modo di approfondire e di condurre naturalmente ed inevitabilmente i lettori a confrontarsi con una visione dell'esistenza diversa dalla propria, sia che ci sentiamo ed identifichiamo più in Steinn, sia in Solrun.
Non penso acquisterò Il Mondo di Sofia come pensavo prima di leggere il Castello dei Pirenei, non avendo bisogno dell'ennesimo manuale di filosofia, ma consiglierei vivamente la lettura di questi due romanzi a chi ha intrapreso da poco gli studi filosofici, che a volte nelle scuole appaiono oltremodo ostici, vuoi per l'insegnante, vuoi per il manuale adottato nell'istituto.

giovedì 21 gennaio 2010

Diego e Frida. Un amore assoluto e impossibile sullo sfondo del Messico rivoluzionario

La storia di una coppia eccezionale che sconvolse la pittura messicana e visse completamente l'avventura della modernità.
Diego e Frida è un saggio di Jean-Marie Gustave Le Clézio, scrittore francese premio nobel per la letteratura nel 2008 con la seguente motivazione: 'Autore di nuove partenze, dell'avventura poetica e dell'estasi sensuale, esploratore di un'umanità oltre e sottostante la civiltà imperante'. Questo è proprio e anche ciò che ritroviamo nel saggio Diego e Frida, in cui i due personaggi sono indagati in quanto uomo e donna, in quanto artisti e in quanto rivoluzionari ma sempre collocati in un contesto storico ben preciso, la rivoluzione messicana, dalla quale non si può prescindere per tracciare un profilo completo dei due. Per questo l'opera si apre proprio con un prologo dedicato alla rivoluzione messicana del 5 Ottobre 1910, guidata da Francisco Madero e comandata dal bandito Pacho Villa e dal grande romantico della rivoluzione, l'Attila del Sud Emiliano Zapata, alla testa delle masse contadine. 'La rivoluzione messicana sarà la prima rivoluzione sociale, che annuncia quella russa e segna l'inizio dei tempi moderni'. Diego e Frida è un saggio ma da romanzo sono le vite vissute da Frida Kahlo (1907 - 1954) e Diego Rivera (1886 - 1957), la letteratura sui quali è piuttosto ricca e il cui sofferto rapporto amoroso è noto al grande pubblico anche grazie al film 'Frida', prodotto e interpretato da Salma Hayek e tratto dall'omonima biografia di Hayden Herrera. Il saggio di Le Clézio è una splendida biografia congiunta di Diego e Frida, le cui vite non sono presentate in ordine cronologico ma in funzione del sentimento che lega i due fin dal suo sorgere. Ciò su cui Le Clézio pone l'accento è la diversità che caratterizza Diego e Frida su un piano umano, artistico e politico e di come essi abbiano cercato di conciliare e superare le loro differenze. 'In fondo la cosa straordinaria di tutta la caotica esistenza della coppia Diego-Frida è che era difficile riunire due esseri più dissimili. Tutti e due sono creatori, e tutti e due sono rivoluzionari, ma la loro creazione e la loro rivoluzione sono diametralmente opposte e diametralmente opposte le loro idee sull’amore, sulla ricerca della felicità, sulla vita stessa'.
Diego e Frida sono l'elefante e la colomba, un gigante, imponente, un grasso, grasso, grasso Bruegel lui e una fragile, piccola e minuta fanciulla lei. Diego e Frida, l'uomo maturo e la fanciulla, l'orco sciupafemmine e la vergine, il genio egoista e impetuoso e la giovinezza indistruttibile, lui un uomo che ha già vissuto troppo, quarantadue anni, due matrimoni, innumerevoli relazioni e quattro figli, lei una giovane donna segnata dalla malattia e dal dolore, lui viaggiatore, lei una provinciale che non ha mai lasciato i confini della terra natìa, lui padre e lei sterile, lui artista affermato, lei pittrice alle prime opere. Quando Frida entra nella vita di Diego nel 1928, essi sono tanto diversi, quanto simili nell'amore per l'arte, che per entrambi rimarrà l'unico vero luogo della rivoluzione. Per Frida l'arte è l'unica via d'uscita da una vita segnata da dolore, sofferenza e solitudine fin dall'infanzia. La poliomelite che all'età di sei anni la rende storpia alla gamba sinistra (Frida gamba di legno, così veniva schernita dai coetanei), la fuga da casa dell'amata sorella maggiore Matilde, gli attacchi di epilessia di cui soffre il padre, l'incidente del bus a diciott'anni, dal quale esce con la colonna vertebrale spezzata in tre punti, molteplici fratture e irrimediabilmente sterile, sono tutti elementi che fanno di Frida una giovane donna isolata, sola, menomata nel fisico ma temprata dalla sofferenza e caratterizzata da una irresistibile vitalità. La pittura diviene così una forma d'arte che per Frida è ragione di vita: le dà la forza di reagire e di esprimere se stessa e la sua sofferenza, impedendo che essa diventi un tarlo che la rode da dentro, ed è a sua volta alimentata dalla forza e dall'energia che sopravvivono in questa giovane donna nonostante tutto. La pittura di Frida è intima: nei suoi dipinti ritrae se stessa. Gli autoritratti di Frida parlano di lei, del suo amore per Diego, del suo dolore fisico e del suo tormento interiore. I suoi dipinti, soprattutto dopo il secondo aborto avvenuto a Detroit e la presa di coscienza definitiva dell'impossibilità di dare un figlio a Diego, esprimono ed esaltano la naturale predisposizione femminile di sopportazione di fronte a verità, realtà, crudeltà e sofferenza. Diego invece realizza murales, anche su commissione, il cui tema è sempre epico e rivoluzionario, a favore dei contadini, in antitesi al sistema borghese, e degli indios, in antitesi ai padroni della terra, per un ritorno ad una cultura precolombiana. I murales di Diego sono celebrativi della bellezza dell'opera delle masse umane al lavoro, siano esse di contadini o di operai. Come scrive Frida stessa, 'Diego esprime nella pittura il suo amore per gli esseri che non hanno a che vedere con l'attuale società delle classi, il rispetto per coloro che sono oppressi e l'ammirazione per gli indios ai quali è unito da legami di sangue e che sono il fiore vivo della tradizione culturale dell'America'. Il popolo oppresso porta naturalmente in sè i temi della rivoluzione e della libertà da riconquistare. Ecco dunque perchè rivoluzione e cultura india sono i cardini inscindibili della pittura e del pensiero di Diego. Ma non è solo attraverso i propri murales che Diego esprime i suoi ideali e ne fa manifesto: egli milita nel partito comunista messicano, dal quale però viene deluso per le limitazioni relative all'espressione artistica e al quale tuttavia si riavvicina. Anche Frida sente il bisogno di un recupero dei valori, dell'arte, della cultura e del folclore precolombiano, di cui adotta ad esempio il modo di vestire, con lunghi vestiti a volant delle donne di Tehuantepec, di acconciare i capelli e di ornarsi. Ed è con i vestiti e la pettinatura da donna tehuana che Frida cammina per le strade di 'Gringolandia', come lei chiama gli Stati Uniti; per le strade di San Francisco, Detroit e New York il suo aspetto suscita curiosità, talvolta ammirazione, più spesso rimane incompreso. D'altra parte Frida non riuscirà mai ad inserirsi tra i Gringos, sia a causa della barriera linguistica, sia perchè durante i suoi soggiorni all'estero sente ancora più forte l'appartenenza alla cultura messicana e la nostalgia di essa. Oltre ad abbracciare il modo di vestire delle indie, Frida, dopo la morte della madre, fa dipingere i muri della casa di famiglia a Coyoacàn di quel colore indaco di cui erano dipinti i templi ed i palazzi atzechi e al quale darà il nome di Casa Azul. La Casa Blu, con i suoi ornamenti, i dipinti di Frida e Diego stessi, ma anche di Paul Klee, Josè Maria Velasco, Marcel Duchamp e Yves Tanguy, e i numerosi animali, sarà tutto il mondo degli ultimi anni della vita di Frida e, dopo la sua morte, Diego ne farà un luogo di pubblico accesso. Morto anche Diego tre anni dopo Frida, il governo messicano fece della Casa Azul che Diego gli aveva donato un museo, oggi noto come Museo Frida Kahlo.
Se Diego e Frida sono accomunati dall'amore per la cultura precolombiana, da un punto di vista politico Frida è forse molto idealista nel dissociarsi dalla decisione di Diego di accettare di dipingere su commissione del miliardario re della finanza Rockefeller ma meno energica e volitiva, come se seguisse a rimorchio Diego nei suoi viaggi.
Frida e Diego si distinguono, non solo nel loro concetto di arte e di ideologia, ma anche nel loro modo di intendere l'amore ed il loro rapporto. Frida si dedica anima e corpo al marito, al quale è devota e per il quale nutre un amore totalizzante e un'ammirazione che seduce Diego da subito. Frida diviene sacerdotessa del culto di Diego, che è il suo sole e centro dell'universo, soprattutto dopo la rottura ed essersi risposati. L'amore che Frida nutre per Diego è una vera e propria religione, un rito ed un sacrificio. Diego invece ha per Frida un amore tenero ma non assoluto ed esclusivo, che risente del concetto di libertà e che inevitabilmente porterà ad un tradimento, purtroppo con la sorella preferita di Frida, Cristina. Frida non è gelosa ma ferita dal doppio tradimento; conosce la natura libertina di Diego ma il suo amore assoluto per Diego non può scendere a compromessi, accettare la menzogna o permetterle di farsi da parte. Frida lascia Diego e cerca di farlo ingelosire allacciando un intimo rapporto con Lev Trockij ed il fotografo Nickolas Murray. Diego chiede e ottiene il divorzio ma di lì a breve i due si risposano perchè capiscono di appartenersi. Nel periodo successivo alla rottura e al tempo del secondo matrimonio, tuttavia, Diego continua ad essere un orco dall'insaziabile appetito sessuale, naturalmente incline alle tentazioni e alle facili conquiste sessuali ma consapevole di non poter vivere senza Frida, la pupilla dei suoi occhi. La pittura di Diego, in questa fase, esprime l'ossessione del piacere, il desiderio e l'ammirazione per le forme del corpo delle donne indie.
Ricordiamo Frida e Diego con il dipinto realizzato da Frida scelto per la copertina del libro: 'due sposini novelli che si tengono per mano; lei così piccola, così giovane, la testa piegata di lato, vestita con il suo lungo vestito verde a volant e con lo scialle di mestizia; lui così grande, così forte, stretto nella cintura da facchino, con ai piedi gigantesche scarpe da lavoratore di cantiere. L'immagine della coppia che lei ha deciso, deve diventare ormai la loro vera identità attraverso lacerazioni e riconciliazioni fino a che morte non li separi'.

Espero alegre la salida -
Y espero nunca volve

Addio, mio piccolo, questo post ultimato in una notte di pianti è dedicato a te.

martedì 19 gennaio 2010

Un'Inquietante Simmetria - Audrey Niffenegger

Uno è tristezza
Due felicità
Tre un matrimonio
Quattro un figlio
Cinque è malattia
E sei la morte


Il cimitero di Highgate nell'omonimo quartiere londinese torna ad essere l'ambientazione di un romanzo. Da Un Luogo Incerto di Fred Vargas e Quando cadono gli angeli di Tracy Chevalier al Dracula di Bram Stoker e al recente Dorian Gray di Oliver Parker, l'Highgate cemetery è ed è stato una fonte di ispirazione per scrittori e registi e si presta ad essere l'ambientazione ideale sia per romanzi horror e gialli, data la sua natura intrinseca di luogo di sepoltura e soprattutto per la leggenda del vampiro omonimo, sia per romanzi meno tristi e morbosi, perchè Highgate non è un cimitero all'italiana ma un museo a cielo aperto immerso in una natura lussureggiante. Diviso in due da Swain's Lane, lo Highgate cemetery consta di una ala ovest (west wing) aperta nel 1839 e di una ala est (east wing) aperta nel 1854, in piena epoca vittoriana (1837 - 1901). Dall'apertura, in pochi anni Highgate divenne un luogo di sepoltura molto ambito da famiglie aristocratiche, artisti ed intellettuali vittoriani, quasi tutti abitanti del vicino quartiere di Hampstead, che, tanto più erano facoltosi, quanto più facevano realizzare grandiosi monumenti funerari. Highgate fu progettato in modo da rendere piacevole la visita dei parenti dei defunti ed i vittoriani lo frequentavano come fosse un parco, passando attraverso passaggi coperti, aperture neoclassiche, spiazzi ricchi di vegetazione. Alberi, arbusti e fiori crescono ancora oggi spontanei tra le tombe e offrono rifugio ad uccelli e piccoli animali selvatici, come scoiattoli e volpi rosse. Si trattava dunque di un luogo da cui i vivi potevano trarre sentimenti positivi, di pace e serenità, non certo di un luogo orrorifico. Purtroppo all'inizio del XX secolo Highgate finì per trasformarsi, da quel luogo grandioso che era, in un sinistro ammasso di rovine e fu proprio questo aspetto di abbandono e decadimento a suscitare paura e diffidenza nell'opinione pubblica, peraltro sorrette ed alimentate dalla leggenda del vampiro di Highgate.
La west wing di Highgate, più antica e chiusa al pubblico nel 1975, oggi visitabile tramite tour turistici a pagamento, è uno splendido esempio di cimitero monumentale gotico, attualmente iscritto dall'English Heritage come monumento di II grado nel registro di Parchi e Giardini, la cui manutenzione viene curata dall'associazione di volontari Friends of Highgate. Nella west wing suscitano particolare interesse l'Egyptian Avenue, un corridoio di tombe in stile egiziano cui si accede passando attraverso un faraonico arco fiancheggiato da due colonne per lato con fiori di loto per capitelli, proseguendo per il quale si arriva al Lebanon Circle, con loculi disposti a forma circolare sovrastati da un enorme cedro del Libano, preesistente al cimitero, fino alla Terrace Catacombs, che sovrasta la collina. Nella zona ovest di Highgate riposano tra gli altri Karl Marx, il cui celebre busto commemorativo si trova all'ingresso dell'ala est, lo scienziato Michael Faraday, il pioniere del cinema William Friese-Green e la scrittrice George Eliot. La east wing, più recente, è tutt'ora usata per le sepolture ma da un punto di vista storico-artistico e scenico è meno interessante. E' nella zona ovest che nasce la leggenda del vampiro di Highgate, che ancora oggi suscita suggestioni gothic/dark su scrittori e registi ma anche su turisti e curiosi ed è stata purtroppo oggetto di atti vandalici atti a deturpare le tombe. Audrey Niffenegger, autrice di Un'inquietante Simmetria, si era recata per la prima volta ad Highgate nel 1996 e ne era rimasta turbata. Anni dopo pensò prorio a questo cimitero londinese per lo sfondo della trama del romanzo cui stava lavorando e si mise in contatto con la presidente dell'associazione Friends of Highgate, Jane Pateman, a cui ha poi dedicato l'opera e alla quale l'autrice si è ispirata per uno dei personaggi, Jessica Bates. La Niffenegger iniziò così a frequentare il cimitero, di cui divenne, ed è ancora, guida turistica, proprio come il personaggio di Robert Fanshaw, che ella definisce come un suo proprio surrogato. Audrey Niffenegger deve la sua fama al suo primo romanzo, il best seller da più di 4 milioni di copie tradotto in 36 lingue, La Moglie dell'Uomo che viaggiava nel Tempo, i cui protagonisti, una giovane artista, Clare, ed il marito Henry sono costretti ad un amore travagliato dalla crono-alterazione di cui soffre Henry, una rara malattia genetica. Il romanzo ha visto accrescere ulteriormente la sua popolarità dopo che Brad Pitt e Jennifer Aniston, acquistati i diritti, ne hanno realizzato una trasposizione cinematografica, in Italia distribuita con il titolo Un amore all'improvviso. Un'Inquietante Simmetria è il secondo romanzo della Niffenegger e, come il primo, ha avuto una lunga gestazione. In esso cogliamo gli echi delle ghost stories, della letteratura gotica e fantastica, da Henry James a Charles Dickens, da Edith Wharton a Wilkie Collins fino ad Edgar Allan Poe. Il romanzo prende le mosse da Vautravers, la casa londinese su Highgate Hill - e dunque limitrofa al cimitero - che le due sorelle gemelle ventenni di Chicago, Julia e Valentina Poole, ricevono in eredità dalla quarantaquattrenne zia Elspeth Noblin prematuramente defunta. La madre di Julia e Valentina, Edwina, ed Elspeth erano anch'esse sorelle gemelle. Il personaggio che maggiormente mi ha colpito però è Martin, che nell’idea iniziale dell’autrice doveva essere il punto nevralgico attorno al quale sviluppare il romanzo. Martin è un nevrotico ossessionato da igiene e pulizia e i cui comportamenti compulsivi sfociano in rituali. Segregato in casa dal terrore di essere contaminato, usa la moglie come emissario nel mondo, finchè ella, esasperata, si trasferisce ad Amsterdam.
Quello che mi aveva colpito della Niffenegger, leggendo un’intervista, è la sua volontà di voler scrivere ‘il romanzo’ e non un romanzo tra tanti, quasi vergognandosi che La moglie dell’uomo che viaggiava nel Tempo fosse divenuto un best seller e poi un film, che peraltro l’autrice non ha mai voluto vedere, perchè per molti critici e lettori questo è sinonimo di romanzo di massa e di poca qualità. Le lunghe gestazioni dei suoi due romanzi, la meticolosità e precisione che impiega nelle descrizioni e caratterizzazioni dei personaggi fanno pensare ad un’erudita che voglia scrivere per una nicchia di lettori, non ad una scrittrice che insegue fama, successo e soldi, come se questi ultimi siano piuttosto un incidente di percorso quasi non previsto. Tutto ciò non può se non farla apparire molto simpatica. Ovviamente le aspettative nei confronti di Un’inquietante simmetria devono essere state percepite dalla Niffenegger come molto elevate e questo deve averla disturbata un poco. Alte aspettative sono anche quelle del lettore che, conoscendo già La moglie dell’uomo che viaggiava nel Tempo, spera il capolavoro sia bissato e che Un’inquietante simmetria sia all’altezza del primo romanzo dell’autrice. Penso che invece questo secondo romanzo non debba essere confrontato col primo ma considerato e apprezzato di per sè. Al di là della trama, il cui plot rispetto a La moglie dell’uomo che viaggiava nel Tempo è certo molto meno articolato ma nondimeno ben strutturato, sono l’ambientazione ed i temi di Un’inquietante simmetria ad essere interessanti. Di Highgate abbiamo già diffusamente parlato, passiamo ai temi: identità, vita dopo la morte, amore che vince la morte e trascende la vita stessa, amore per i cari defunti, rapporto tra sorelle e soprattutto tra gemelle identiche, sconcerto verso la stranezza e l’identicità dei gemelli, amicizia, nevrosi, malattia. Nessuno di questi temi è semplice da affrontare nè ovviamente si offrono risposte ma una particolare e personale visione del mondo, che si colora di tristezza sul finale. Non ho trovato Un’inquietante simmetria particolarmente originale, nè per l’ambientazione spaziale, nè per l’offerta del punto di vista di un defunto divenuto fantasma, forse perchè mi ha ricordato Amabili Resti di Alice Sebold, un’altro romanzo di cui vedremo presto il film. In Amabili Resti il punto di vista di Susie Salmon, una quattordicenne stuprata e assassinata che parla dal suo paradiso personale, è più struggente, carico di voglia di giustizia e verità mentre in Un’inquietante simmetria il tono è decisamente più leggero, visto che Elspeth è morta, giovane, sì, ma di cancro, non di morte violenta, ma anche quasi troppo irreale fino a sfiorare il grottesco.
Un’ultima nota sul prezzo. In molti pensano che 20 € siano troppi se si confrontano con i prezzi dei grandi classici, oggi anche attorno ai 10 €, ma l’unica edizione attualmente in commercio di questo romanzo è quella di Mondadori e non si tratta di un’edizione economica o tascabile: consta infatti di copertina rigida e sovraccopertina (peccato per l’immagine, inguardabile). Se desiderate spendere meno, dovete cercare qualche offerta o sperare che il romanzo divenga un best seller (un classico lo escluderei) e aspettare che ve venga prodotta un’edizione economica. Non bisogna fare l’errore di valutare il costo di un libro per il suo contenuto, altrimenti, secondo questa logica, i grandi capolavori della letteratura dovrebbero sempre costare molto! Nella realtà dei libri accade il contrario: solitamente una nuova opera esce con un prezzo medio-alto per poi uscire anche con edizioni di fascia medio-bassa.

martedì 12 gennaio 2010

Un commento alla classifica di vendita dei libri del week-end e di come i romanzi cinematograficamente trasposti hanno vita lunga

Ho sotto gli occhi una delle tante classifiche di vendita di libri, riferita al fine settimana appena trascorso. Non mi sorprendo più quando vedo che gli italiani hanno scelto di comprare sopra tutti un romanzo di Fabio Volo, ‘Il Tempo che vorrei’, che in due giorni ha venduto circa 1200 copie, quasi il doppio rispetto al secondo in classifica, ‘L’eleganza del Riccio’ di Muriel Barbery. ‘L’eleganza del Riccio’, pubblicato in Francia nel 2007, ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico in patria nel 2007 e successivamente anche in Italia nel 2008. Siamo nel 2010 e ancora è secondo in classifica, spinto dall’uscita del film Il Riccio ad esso ispirato e in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane. Ho letto ‘L’eleganza del Riccio’ nella primavera del 2009 e di esso mi è piaciuta molto l’erudizione palpabile grazie alle citazioni letterarie (ad esempio, Anna Karenina di Tolstoj) e filosofiche. Anche per questo trovo sia un contrasto stridente vedere Fabio Volo e Muriel Barbery rispettivamente primo e seconda in classifica: la lettura di massa e il romanzo di nicchia divenuto best seller, l’uno dopo l’altro. Come si intuisce, non sono un’ammiratrice di Fabio Volo e non avrei mai acquistato un suo libro ma me ne hanno regalato una copia per Natale. L’ho addirittura un poco nascosto in seconda fila nella mia libreria perchè accanto ad Anna Karenina e a Herzog avrebbe suscitato dubbi sulla mia capacità di discernere tra un’opera letteraria e un libro. Penso che, se non fosse il personaggio famoso che è, nessun editore avrebbe mai pubblicato un libro di Fabio Volo anche se, forse, egli nemmeno si sarebbe messo a scriverne! Non amo i film di Fabio Volo e non mi piacciono le sue trasmissioni radiofoniche perchè non mi piace quello che pensa nè come lo dice. Al di là dei miei gusti personali, che in questo caso, lo so, riscuotono decisamente poco consenso, voglio provare a spiegare e a spiegarmi il successo dei libri di Fabio Volo. Essi vendono sempre tanto perchè l’autore è molto famoso, ha un aspetto piacevole ben noto ai più grazie ai film che ha interpretato e da anni fa arrivare la sua visione del mondo in tutte le case tramite le trasmissioni radiofoniche da lui condotte, che divulga con simpatia e modi schietti, e da un punto di vista formale, i suoi scritti sono caratterizzati da periodi semplici e poco articolati e da un lessico da italiano medio. ‘Il Tempo che vorrei’ non è impegnativo ma leggero, una storia di giovani per i giovani, senza pretese; si legge d’un fiato perchè si vuole conoscere come vanno a finire le cose tra il protagonista, Lorenzo, e la sua ex, e parla dunque di cose di tutti i giorni che tutti possono o hanno sperimentato nella propria vita e nelle quali facilmente ci si riconosce. Apprezzabili le citazioni letterarie e musicali. Riconosco a libri come questo il pregio di avvicinare alla lettura anche i lettori occasionali e chi di solito non ama impegnarsi in letture lunghe che richiedono concentrazione.
Posto che, sotto le feste, le case editrici pubblicano nuove opere perchè è più probabile che vengano acquistate per occupare un posto sotto l’albero di Natale, quando acquisti o ti regalano un romanzo che ti piace, sei portato ad acquistarne altri del medesimo autore. Ciò spiega anche perchè gli altri romanzi di Fabio Volo occupino altri quattro posti tra i primi cinquanta.
Scorrendo i titoli della classifica, al quinto posto, quinto, avete letto bene, c’è ‘L’interpretazione dei Sogni’ di Freud, che occupa altre due posizioni nei primi trenta titoli. Un classico, d’accordo, ma ‘L’interpretazione dei Sogni’ è un saggio, non un romanzo, e vi assicuro che non è così semplice da leggere e da comprendere. Sarò cinica, ma mi viene il dubbio che ne siano state vendute più di 500 copie in due giorni o perchè qualcuno pensa che 'L’Interpretazione dei Sogni' di Freud sia applicabile al lotto o perchè qualche insegnante ne ha imposto la lettura ai suoi studenti.
Stephenie Meyer e la sua saga vampiresca occupa il sesto, l’ottavo, il tredicesimo ed il quindicesimo posto con ripettivamente Eclipse, Beaking Dawn, Twilight e New Moon. Devo ringraziare Marco che a Natale 2008 mi regalò Eclipse. Superato l’iniziale scetticismo verso un romanzo da adolescente e l’indecisione tra il non leggerlo affatto o comprare i tre restanti romanzi della saga, mi sono cimentata nella lettura e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa e coinvolta. Mi sono davvero sentita una ragazzina alle prese con i primi amori e il mio cuore ha palpitato all’unisono con quello di Bella e di Edward. Consiglierei la saga di Twilight alle romantiche di tutte le età. Ovviamente i romanzi della Meyer hanno ricevuto una nuova ed ulteriore spinta grazie all’uscita nele sale del film New Moon l’autunno scorso, che ha portato nuove schiere di ragazzine a divenire fan di Robert Patterson e Kristen Stewart e che ha anche spinto molte a leggere i romanzi qualora non lo avessero ancora fatto. La stessa cosa era accaduta alla Millennium Trilogy di Stieg Larsson dopo l’uscita cinematografica dei primi due film, Uomini che odiano le donne e La ragazza che giocava con il fuoco, i cui romanzi attualmente resistono attorno ai primi 30 posti. Possiamo prevedere un'impennata delle vendite quando uscirà nelle sale anche 'La Regina dei Castelli di Carta'

sabato 9 gennaio 2010

Herzog - Saul Bellow

Aveva avuto due mogli; esistevano due bambini; un tempo era stato uno studioso e nell'armadio la sua vecchia valigia era rigonfia, come un coccodrillo squamoso, del suo manoscritto incompleto. Mentre lui rimandava, altri si facevano avanti con le medesime idee.

New York non lo poteva più tenere adesso. Doveva andare a Chicago a vedere sua figlia, affrontare Madeleine e Gersbach. La decisione non fu raggiunta; arrivò da sè.

Dalla codardia, dalla malattia, dalla frode, da un padre arruffone e da una carogna mestatrice, era venuto fuori qualcosa di genuino! Quella sua figlioletta!

Avrebbe potuto sparare a Gersbach mentre, con metodo, aspergeva la spugna gialla del detersivo. Nel caricatore c'erano due cartucce... Ma ci sarebbero rimaste. Herzog lo ammise senza reticenze. [...] Sparare non era stato che un pensiero.

Qualche giorno fa mi trovavo a rileggere la lista dei premi Nobel per la letteratura e in quell'occasione mi sono ripromessa di leggere almeno un'opera per vincitore ogni tanto. Ho deciso di inziare da Saul Bellow semplicemente perchè il premio Nobel
gli è stato consegnato nel 1976, il mio anno di nascita, con la seguente motivazione: 'for the human understanding and subtle analysis of contemporary culture that are combined in his work'.
Tra le opere di Bellow ho scelto Herzog in quanto la critica lo considera il suo romanzo più riuscito, che gli è valso tra l'altro la vittoria dell'International Literary Prize nel 1956, primo fra gli americani.
Non si può parlare di Herzog senza parlare di Bellow stesso poichè il romanzo contiene una forte connotazione autobiografica ed Herzog è una sorta di alter ego dell'autore.
Saul Bellow nacque in una famiglia di religione ebraica a Lachine, vicino a Montreal, in Quebec, nel 1915. Egli era il minore di cinque figli, nati da un uomo poverissimo, rivenditore di cipolle e all'occorrenza contrabbandiere di alcoolici, e
dalla figlia di un rabbino, entrambi originari di San Pietroburgo ed emigrati in Canada nel 1915. Quando aveva nove anni, la famiglia Bellow si trasferì a Chicago, dove Saul crebbe e studiò, non senza difficoltà a causa della povertà che lo costrinse anche ad abbandonare gli studi di antropologia il primo anno, e che sta a Bellow come Dublino a Joice. La capitale del'Illinois di quegli anni accoglieva numerosi immigrati e questo contesto multietnico, plurilinguistico e variegato sotto il profilo culturale contribuì alla formazione del giovane Saul. Dopo la laurea, Bellow insegnò tutta la vita, in diverse scuole: al Pestalozzi-Froebel Teachers College di Chicago fino al 1942, alla University of Minnesota a Minneapolis, alla Princeton University dal 1950, al Bard College di Annadale nel 1953, all'Università di Puerto Rico nel 1961, all'università di Chicago nel 1962 per trent'anni e infine alla Boston University dal 1993 fino alla morte, nel 2005. Bellow ebbe cinque mogli, l'ultimo matrimonio nel 1989.
Herzog è un romanzo epistolare, per la maggior parte costituito dalle lettere che il protagonista, il professore di mezza età Moses Elkanah Herzog, scrive senza spedire ad amici, familiari, anche defunti, personaggi famosi, come il Presidente degli Stati Uniti, e perfino a Dio. Tali lettere riflettono la crisi di mezza età che Herzog sta vivendo, scaturita dalla sua incapacità di portare a termine il suo saggio sul pensiero filosofico del Settencento, con le angosce, paure, preoccupazioni, disillusioni e riflessioni che l'accompagnano. Herzog è appare anche come un lungo monologo interiore, che ricorda l'Ulisse di Joice.
Come Bellow, anche Herzog è un professore emigrato di religione ebraica, cresciuto in Canada ma originario di San Pietroburgo, con due matrimoni all'attivo.
In questo romanzo, come in altri di Bellow, l'azione è secondaria al pensiero. Tutto il romanzo è cioè incentrato su un personaggio protagonista ma le sue azioni sono del tutto secondarie e pressochè inesistenti rispetto alle sue riflessioni, al suo pensiero e mondo interiore, anche e soprattutto perchè Herzog è un uomo fortemente passivo e inetto cioè del tutto incapace alla vita. Herzog è però anche un uomo profondamente consapevole della sua crisi ed inettitudine, che affronta senza fuggire, in una ricerca interiore che lo porta a constatare l'assurdità dell'esistenza, forse il senso di ogni cosa. I primi inetti della letteratura si trovano in autori russi come Turgenev e Dostoevskij; in Italia Italo Svevo ha il merito di aver introdotto la figura dell'inetto nella nostra letteratura e averne fatto un mito accanto al fanciullino di Pascoli, al superuomo di D'Annunzio e al santo di Fogazzaro. La figura dell'inetto è simile anche all'uomo insetto kafkiano ed è presente anche nelle opere di Joyce, Musil, Pirandello e Tozzi. Tutta la letteratura del primo novecento riflette e consacra dunque la contrapposizione ed il superamento dell' eroe romantico borghese sempre libero, attivo, energico, che con la sua intraprendenza, iniziativa e volontà è faber fortunae suae (pensiamo al 'Volli, volli, fortissimamente volli' dell'Alfieri).
All'eroe romantico e al superuomo di Nietzsche e D'Annunzio, si sostituisce progressivamente un uomo piccolo borghese che si dedica all'arte, alla letteratura ad esempio, per compensare la propria incapacità alla vita, una mancanza di volontà
che talvolta rasenta l'abulìa, la passività ripetto al corso che prendono gli eventi della vita e alle decisioni altrui, l'innocente accidia.
Herzog, ad esempio, subisce il divorzio dalla seconda moglie Madeleine, rispetto alla quale si pone in posizione di asservimento, e solo nella sua mente immagina di puntare i piedi e di imporsi nel momento in cui Madeleine gli comunica
la sua decisione di lasciarlo. E quando decide di sparare un colpo di pistola a Madeleine e al suo amante, Valentine Gersbach, e, fuori dalla propria ex casa dove i due abitano, Herzog è pronto a commettere gli omicidi, alla fine rinuncia: 'Sparare è stato solo un pensiero'. Herzog, come altri inetti della letteratura, è fortemente cerebrale, proiettato più alla propria interiorità che a ciò che lo circonda. Egli sente e patisce la propria incapacità a vivere e ne porta tutto il peso; Herzog continuamente si interroga sulla propria condizione, sviscerando tutte le vicende che gli accadono, chiedendo a persone diverse, dalla prima moglie, ai giornali, al presidente degli Stati Uniti, le ragioni di certe scelte, ma senza esigere una vera risposta perchè si tratta di domande pensate e solo scritte sulla carta ma mai spedite ai destinatari.
Ricorre spesso tra i monologhi di Herzog il dubbio di essere pazzo - nevrotico, come si impara a dire dopo l'avvento della psicanalisi freudinana, e dunque il tema della malattia. Herzog, infatti, nelle primissime pagine va dal medico in quanto convinto, a torto, di essere malato. E dal dubbio della pazzia ai temi della vecchiaia e della morte il passo è davvero breve. Ma a differenza di molti personaggi letterari del primo novecento, nemmeno la psicanalisi sembra essere una valida soluzione o mezzo di sopportazione del male di vivere.
Leggo Herzog e penso a Woody Allen, con i suoi film ambientati sempre nella stessa città tanto amata, New York (Chicago per Bellow), e ai suoi personaggi, più o meno autobiografici, intellettuali nevrotici, cerebrali, perennemente insoddisfatti in amore, in analisi per buona parte della vita,che riflettono spesso sulla morte e che fanno tutto questo guardando alla propria condizione con una sottile ironia, lo stesso humour che scaturisce dalle pagine di Herzog.